fare impresa

 

L'imprenditorialità è stata la seconda tematica affrontata nel Progetto di formazione integrativa ed alternanza scuola-lavoro degli operatori sanitari, socio-sanitari e delle biotecnologie sanitarie; ad esporlo Jessica Giusti, responsabile area DAP della Cooperativa sociale Paim agli studenti dell'Istituto E.Santoni ( indirizzo tecnico ed indirizzo professionale ) che partecipano al progetto attivando tirocini nelle seguenti strutture: CF Marciana, RSD Il borgo dei Colori, CD Il Quadrifoglio, RSA U.Viale, RSA Casa Mimosa, RSA Via la Tinta, CF Bientina, Asilo San Rossore, Il Nido nell'albero.

Lo studio della genesi dell’imprenditorialità ha suscitato nel tempo un forte interesse (Reyneri, 1997), in quanto è opinione diffusa che essa contribuisca a creare lavoro e allo sviluppo economico (Commissione delle Comunità Europee 2003, Commissione Europea 2013). Proprio per questo motivo, nel contesto socioeconomico attuale, lo studio della genesi e della formazione dei nuovi imprenditori appare di particolare attualità, in quanto strettamente collegato alla job creation. In particolare, nei documenti programmatori europei viene auspicato un incremento del tasso di imprenditorialità, anche in riferimento a specifici target che presentano maggiori difficoltà occupazionali (donne, stranieri, giovani, anziani). Tuttavia, l’analisi dell’imprenditorialità e dell’imprenditoria non è solo una questione economica: essa passa anche attraverso l’osservazione delle caratteristiche dell’imprenditore stesso e del suo potenziale (Cubico e Favretto 2012). Come afferma Forbes (1999, 415) “la decisione di creare una nuova impresa è una delle scelte più significative e interessanti che persone fanno nel mondo delle organizzazioni. Questa scelta è significativa in quanto è una fonte di innovazione, di competizione e di creazione di posti di lavoro… È interessante perché coinvolge rischio, creatività e convinzione a livello individuale e organizzativo. Eppure, si sa relativamente poco su ciò che accade nella mente degli individui che creano nuove organizzazioni”. Lo studio dell’imprenditorialità non è affatto nuovo, in quanto si è sviluppato parallelamente all’industrializzazione. Esso è stato al centro della costruzione teorica di molti autori classici della sociologia: basti pensare al ruolo riservato agli imprenditori nell’opera di Marx, Weber, Sombart e Schumpeter. Quello dell’imprenditorialità è un tema che per sua natura è stato affrontato da diversi punti di vista: la letteratura scientifica di riferimento trae spunto da discipline economiche, sociologiche, antropologiche e psicologiche. Già Schumpeter, in una conferenza del 1929, affermava il carattere multidisciplinare dello studio dell’imprenditorialità. In particolare egli evidenziava che “i problemi che riguardano l’imprenditore possono essere suddivisi in tre gruppi: economia, sociologia e psicologia dell’imprenditore” (Schumpeter, 1993 cit. da Battistelli 2001 p. 13). Tuttavia, il quadro analitico prodotto di volta in volta da ciascuno di questi approcci appare complesso e frammentario, in quanto limitato alla descrizione del fenomeno in base ad uno specifico angolo di osservazione disciplinare (Zanni 1995, Battistelli 2001). Solo recentemente si sono sviluppati modelli teorici che cercano di includere più aspetti, proponendosi da un lato di individuare gli attributi classici posseduti dall’imprenditore, dall’altra di analizzare quali aspetti del contesto sociale ed economico interagiscono o influenzano il comportamento imprenditoriale (Sartori e Favretto 2007). In questo contesto, la formazione e l’educazione imprenditoriale giocano un ruolo importante. A tal proposito Brockhaus (2001) si chiedeva se fosse possibile insegnare a qualcuno ad essere un imprenditore. La risposta che egli fornisce e che viene accolta anche dai molti programmi e progetti operativi diffusi sul territorio nazionale e internazionale è che la formazione costituisce un elemento importante per chi desidera intraprendere un percorso imprenditoriale, fermo restando un set di abilità e propensioni personali che, in quanto tali, si differenziano da persona a persona. Al tempo stesso, Alberti (1999) evidenzia come gli individui che possiedono tali caratteristiche siano molti, pur non diventando tutti imprenditori: da questo punto di vista, la formazione può contribuire a selezionare ulteriormente tali soggetti aumentando quindi la qualità dei futuri imprenditori. Quali sono i fattori decisivi e le risorse messe in campo da chi desidera aprire una nuova impresa? Il riferimento specifico non è tanto agli elementi di carattere economico, quanto, invece, al ruolo giocato dai fattori individuali e sociali. Tra i primi alcune caratteristiche che emergono trasversalmente e con maggiore frequenza nella letteratura sono la propensione al rischio, lo spirito di iniziativa, l’ambizione, la responsabilità, l’indipendenza, la tolleranza dell’ambiguità, l’innovazione e il desiderio di autorealizzazione (Battistelli, 2001). Altri elementi sono legati ai diversi modelli di socializzazione al lavoro che orientano i valori, le credenze e le opinioni dei soggetti rispetto alla carriera professionale (Sarchielli 2002): ad esempio, la presenza in famiglia di imprenditori sembra essere determinante per lo sviluppo della propria carriera nella medesima direzione. Tra i numerosi fattori analizzati (genere, età, livello di istruzione), un aspetto particolarmente interessante -e su cui la letteratura sembra convergere- è quello relativo alle esperienze lavorative. Questo sembra essere un elemento di predittivo particolarmente positivo rispetto al successo dell’impresa, specie nel caso in cui quest’ultima si occupi di attività simili a quelle svolte nell’occupazione precedente, in quanto vengono attivate competenze e reti di relazioni già sperimentate e assodate (Brugnoli 1990). Nello specifico, inoltre, le reti sociali in cui è inserito l’imprenditore costituiscono per lo stesso una risorsa intangibile rilevante per lo sviluppo della sua attività aziendale (Presutti 2005), al pari del capitale finanziario, di quello fisico e di quello umano (Simoni e Labory 2006). La propensione a diventare imprenditore, la dimensione relazionale facendo riferimento in particolare alla fiducia interpersonale che si costruisce nel tempo attraverso relazioni durature ed, infine, la dimensione cognitiva ovvero i valori e i linguaggi condivisi che sono alla base di rappresentazioni e interpretazioni di qual è l’insieme di fattori che stimola le persone ad intraprendere una carriera imprenditoriale: in particolare verificando il peso di diversi aspetti quali fattori individuali, familiari, legati ad eventuali esperienze lavorative, relazionali, istituzionali e di contesto spingono gli individui verso questo percorso. Inoltre, ci si chiede in che modo la formazione e l’eventuale accompagnamento abbia inciso sugli esiti, facilitando o meno l’attivazione degli elementi sopra indicati. Lo scopo della ricerca, perciò, è quello di analizzare le determinanti della transizione e dell’accesso lavoro indipendente, chiarendo quanto l’idea imprenditoriale sia una dotazione personale e quanto, invece, sia stata perfezionata e valorizzata grazie alla formazione e ai fattori relazionali e di contesto. Pertanto, l’analisi si incentra sulle costruzioni di significato con le quali i lavoratori rappresentano la propria condizione. Come vengono raffigurate le proprie esperienze lavorative? Attraverso quali narrazioni e strategie viene affrontato il proprio percorso di avvio di impresa? Quali motivazioni vengono evidenziate? In particolare, nell’attuale situazione economica, il lavoro autonomo costituisce effettivamente un percorso lavorativo soddisfacente? Gli strumenti di ricerca adottati a tal fine sono prevalentemente di natura qualitativa. Già Schumpeter in una conferenza del 1929 rilevava il carattere multidisciplinare dello studio dell’imprenditorialità, ricordando che “i problemi che riguardano l’imprenditore possono essere suddivisi in tre gruppi: economia, sociologia e psicologia dell’imprenditore” (Schumpeter, 1993 cit. da Battistelli 2001 p. 13). Come rilevano molti autori (Mussati 1990; Neergaard, Ulhøi 2007), esso attiene all’analisi di quella capacità intuitiva tipicamente attribuita all’imprenditore che è in grado di avviare investimenti di successo che contribuiscono alla crescita economica. In senso metaforico, si tratta quindi di apporti che attengono alla sfera degli “animal spirit”, così come descritti da Keynes (1936, in Berta 2004). L’autore britannico riteneva che la motivazione principale che spinge l'individuo a intraprendere un'iniziativa imprenditoriale fosse da ricercare nella personale convinzione di poter avere successo, al di là delle analisi economiche che potrebbero portare a una decisione maggiormente razionale. Sul tema dell’imprenditorialità convergono quindi molteplici fattori socioculturali, psicologici, economici e istituzionali, che contribuiscono a creare un quadro conoscitivo complesso, rifacendosi ad approcci e paradigmi di ricerca diversi principali teorie sociologiche, quindi, permette di evidenziare gli strumenti interpretativi, che saranno utilizzati per analizzare le risorse e i percorsi attivati nella creazione d’impresa in riferimento al case study.

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